Brigantaggio
La
Valle Roveto, come gran parte dei territori del mezzogiorno, dal 1860
al 1869 fu teatro di scontri fra le bande brigantesche e le truppe
piemontesi spalleggiate dalla guardia nazionale. Briganti compirono
razzie ed incursioni nei nostri paesi, per poi trovare rifugio e
protezione al di là della frontiera pontificia, posta sulla cresta dei
monti Simbruini ed Ernici. Per questo motivo il brigantaggio della Valle
Roveto fu essenzialmente "d'importazione", in virtù dell'estrema
vicinanza con lo Stato Pontificio, ed assunse una vitalità particolare
specie nei primi anni. Il primo fatto d'arma si verificò il 6 ottobre
1860 tra alcuni battaglioni di briganti, inquadrati regolarmente e
comandati dal La Grange,
e un gruppo di garibaldini lungo la strada nazionale a sud di Civitella
Roveto. Nello scontro i seguaci dei borboni ebbero la meglio e
conquistarono la vallata. La vittoria determinò un rafforzamento delle
tendenze legittimiste anche perché, nei giorni seguenti, la Marsica si
sollevò contro il nuovo governo. Così nell'ottobre del 1860 inizia nella
valle una guerriglia sanguinosa che raggiunse il culmine nel 1861-62,
nel periodo maggio-novembre indicato come la stagione del grande
brigantaggio, quando le truppe dovettero affrontare numerose bande
condotte da valenti uomini che tentavano di restaurare la vecchia
dinastia borbonica. Dal 1863 al 1864 la lotta tra l'esercito italiano ed
i gruppi di briganti fu ancora cruenta ma in questo periodo i
sentimenti legittimisti vengono pian piano a mancare ed i briganti
operarano ormai solo per profitto personale, con azioni agganciate
spesso alla criminalità comune. La lotta si mantenne viva sino al 1865
poi gli episodi banditeschi, con le bande ormai prive di grandi capi e
di connotazione politica, si fecero più rari e si esaurirono
definitavamente nel 1869. I capi briganti che operarono maggiormente
nella valle furono - Giacomo GIORGI 1860-61; - Luigi ALONZI, alias CHIAVONE, 1861-62; - Ludwig Richiard ZIMMERMANN, 1862-63; - Rafael TRISTANY, 1862-63, poi negli anni seguenti agirono con minore intensità e numero di forze i briganti FUOCO, FONTANA e CEDRONE.
Per quanto riguarda l'esercito esso giunse nella Valle Roveto nel 1861 e
la difesa della zona venne affidata al 44° reggimento di fanteria. La
valle era inserita nella zona militare di Gaeta, al cui comando si
succedettero i generali Gozzani di Treville, Villarey e Govone, poi nel 1866 venne inquadrata nella VI zona secondaria al cui comando, in Cassino, venne posto il colonnello Charvet.
Le truppe inizialmente, data l'esiguità dei ranghi, non erano in grado
di controllare l'intero territorio e solo in seguito, con il passare
degli anni, il loro numero aumentò considerevolmente tanto da poter
disporre di un distaccamento in ogni paese. Il comando militare
valligiano era posto in Civitella Roveto e nei primi anni della lotta
venne affidato al maggiore MARSUZZI.
La truppa inizialmente affrontò innumerevoli inconvenienti, dalla
mancata conoscenza del luogo, alla citata esiguità dei propri reparti,
alla mancanza di ogni collaborazione da parte della popolazione. Col
tempo però i militari seppero guadagnarsi la stima della gente,
migliorarono la conoscenza della valle e poterono così combattere alla
pari con i briganti uscendone nettamente vincitori (vista anche la
differenza delle forze in campo). I contadini della Valle Roveto, dal
principio, appoggiarono apertamente il brigantaggio e costituirono un
ottimo supporto logistico per le bande che, oltre a ricevere
sostentamento e rifugio, erano costantemente informate sui movimenti dei
nazionali. Benché poveri restarono fedeli alla vecchia monarchia ed
ostili al nuovo governo che, si suppone, consideravano lontano ed ancora
più opprimente di quelle borbonico. Di fatti il cambiamento di regime
non portò alcun beneficio nelle campagne e, malgrado molte promesse, i
nuovi governatori non furono in grado di risolvere il nodo principale
del problema del contadino; la questione demaniale. La delusione per le
mancate riforme agrarie, l'aumento indiscriminato dei tributi fiscali e
la leva militare obbligatoria, rifiutata in massa soprattutto perché
distoglieva braccia dalla campagna furono tutti fattori che, uniti alla
propaganda filo borbonica del clero e dai signorotti locali alimentarono
il fuoco della "rivolta". Questo atteggiamento tuttavia si attenuò nel
tempo e cessò definitivamente quanto ormai i briganti lasciarono la
lotta legittimista per colpire indiscriminatamente l'inerme popolazione;
negli ultimi anni diversi rovetani collaborarono con i militari sia
come guide che come informatori. Anche gli amministratori comunali dal
principio parteggiarono per i borboni e contribuirono, con aiuti ed
omissioni, ad alimentare il brigantaggio tanto che molti sindaci ed
amministratori furono rimossi od inquisiti dai comandanti militari.
Vista ormai persa ogni speranza del ritorno del borbone e grazie anche
al sopraccitato "repulisti" i nuovi amministratori si integrarono
definitivamente nelle strutture dello stato. Per concludere vorrei
descrivere brevemente l'atteggiamento degli organi pontifici e dei
prelati rovetani nel periodo in questione. Lo Stato della Chiesa
sostenne le bande che scorrazzavano a ridosso delle sue terre e nelle
abbazie di Trisulti e Casamari, poste a poca distanza dal nuovo Regno
d'Italia, queste trovavano grande accoglienza e sicuro rifugio. Dette
badie fungevano inoltre da deposito di armi e materiali ed erano altresì
veri e propri centri di arruolamento di partigiani borbonici. Nello
stesso tempo a Roma si organizzavano dei comitati che avevano il compito
di arruolare ed armare i briganti ed avviarli ad operare a ridosso del
confine pontificio. Tutto questo durò sino a quando le gerarchie
ecclesiastiche si resero conto che gli stessi briganti che avevano
appoggiato spesso dirigevano le loro scorribande sui paesi del proprio
territorio, arrecando terrore all'inerme popolazione. Per stroncare
questo stato di cose furono organizzate delle squadriglie anti-brigante
che avevano il compito di sorvegliare i valichi di frontiera più
"trafficati" dai briganti. Successivamente, nel 1867, venne firmato un
accordo militare con il Regno d'Italia che regolava le operazioni vicino
ai due confini e, tra l'altro, permetteva ai due eserciti
l'inseguimento delle bande oltre il territorio di competenza. Il clero
era invece, tranne poche eccezioni, apertamente schierato con il vecchio
regime, anche perché il vescovo delle diocesi di Sora, di cui faceva e
fa parte la Valle Roveto, era un irriducibile reazionario ed uno dei più
accaniti oppositori del nuovo Regno d'Italia. I più attivi in
questo senso furono sicuramente il parroco di Civitella Roveto, Don Giuseppe Di Bernardo, e quello di Balsorano, frate Bonaventura.
Infatti "il parroco della chiesa maggiore (di Civitella Roveto N.d.R.) è
un borbonico ed un reazionario furibondo e impudente. La sua casa è un
conventicolo di frati, preti e briganti capaci di tutto". Indi "il
frate Bonaventura di Balsorano, il parroco di Civitella Roveto sono i
più pericolosi e i più sagaci, come i più accaniti intrecciatori e
organizzatori di disordini per recar danno al governo costituzionale
italiano. Essi costituiscono e sussidiano i comitati reazionari e con
tutti corrispondono alacremente, viaggiano ovunque, tramutano abiti e
condizione, portano seco corrispondenze e danaro e con infinito pericolo
e disagio attraversano il territorio, sviano le coscienze, insidiano e
propagano il mal seme della rivoluzione". E' indubbio che la figura
del prete rivestì un carattere particolare nell'agitare gli animi contro
"l'invasione piemontese": "Fomento pertanto incentivo, sprone al
brigantaggio in queste provincie meridionali, e forse in tutte le
regioni montagnine di queste zone, è senza alcun dubbio l'influenza del
prete, il quale interrogato, consultato, fatto arbitro di ogni questione
di paese e di famiglia, le sue risposte sono tenute come parole di Dio
da quei zotici, ed eseguito appuntino e rispettate come se fossero dogmi
di fede".
Ritorna all'indice ( La Valle Roveto )